I FATTI.
- Nel 2015 una ragazza peruviana di 22 anni arriva a casa.
- È confusa: ha ferite di cui non si accorge; il ricordo della serata è a sprazzi.
- Ricorda di essere uscita con due ragazzi peruviani.
- La ragazza dice di avere avuto un rapporto sessuale; ma non sa se all’inizio era d’accordo.
- Si ricorda, però, di aver provato a un certo punto molto dolore e di aver chiesto al ragazzo di fermarsi; il ragazzo non le aveva dato retta.
- La ragazza viene accompagnata all’ospedale.
- Gli esami del sangue dimostrano che la ragazza ha ingerito la “droga dello stupro”.
- Probabilmente i ragazzi che erano insieme a lei avevano sciolto la droga nella birra.
- In seguito i due ragazzi erano stati identificati e condannati a 5 anni e a 3 anni.
- Un ragazzo aveva stuprato la ragazza; l’altro aveva solo assistito.
- Lo stupratore si era dichiarato innocente, dicendo che la ragazza non gli piaceva.
- A prova di questo aveva mostrato il suo cellulare: aveva memorizzato il numero della ragazza sotto l’etichetta ” Nina il Vikingo” per segnalare l’aspetto mascolino della ragazza.
IL PROCESSO D’APPELLO.
- Nel 2017 i due ragazzi ricorrono in appello.
- I giudici della Corte di Appello di Ancona – 3 donne – assolvono i ragazzi.
- La spiegazione del tribunale è assurda: la ragazza è troppo brutta e mascolina per essere oggetto di uno stupro.
- C’è scritto in sentenza che la ragazza è brutta ‘Come la fotografia presente nel fascicolo processuale appare confermare’.
- A marzo 2019 la Corte di Cassazione ha annullato questa sentenza e il processo d’appello è da rifare.
- Molte associazioni che difendono i diritti delle donne hanno manifestato contro l’accaduto.
- Il fatto più grave di questa sentenza, forse, è il non riconoscere che lo stupro è un atto di sopraffazione e mortificazione.
- Il desiderio di umiliare non richiede che la vittima sia bella.
LEGGI ANCHE: VERSO L’8 MARZO. COME PROCEDONO I LAVORI?