- Come sappiamo la coltivazione del pomodoro è una grande risorsa per l’economia italiana.
- L’Italia, infatti, è il secondo produttore al mondo di pomodori, dopo gli Stati Uniti e prima della Cina.
- Il comparto “pomodoro” italiano ha fatturato, nel 2016, più di 3 miliardi di euro.
- A fronte di questi dati positivi è noto che la coltivazione e la raccolta dei pomodori usa soprattutto lavoratori extra-comunitari che lavorano in condizioni simili alla schiavitù.
- Nel quadrato dell’“oro rosso”, tra Foggia, Taranto, Lecce e Brindisi, la coltivazione del pomodoro è in mano di pochi latifondisti, che come è ovvio dettano legge.
- Qui, ma anche in Campania, Basilicata, Sicilia ogni estate arrivano migliaia di stranieri da tutta Italia per raccogliere pomodori.
- Vivono nei cosiddetti “ghetti” dove la casa è un container sovraffollato e dove non c’è acqua.
- Questi lavoratori guadagnano circa 2 euro l’ora; talvolta è previsto anche il lavoro a cottimo che rende 3 euro per ogni cassone di pomodori raccolti.
- Un cassone contiene 3 quintali di pomodori.
- La giornata di lavoro dura dalle 12 alle 16 ore.
- È accaduto più di una volta che lavoratori extra-comunitari o italiani siano morti durante il lavoro, stroncati dal caldo e dalla fatica.
- Osservatorio Migranti Basilicata è un’associazione impegnata a studiare, comprendere e gestire il flusso di migranti in Italia.
- Diritti al Sud è un’associazione che vuole trasformare il Sud del mondo in un luogo di accoglienza, di opportunità, legalità.
- Solidariaè un’associazione che nasce a Bari nel 2014 per avviare il progetto Netzanet.
- Il progetto Netzanet vuole sperimentare un’intera filiera produttiva per salsa di pomodoro ed altre produzioni a sfruttamento zero.
- Netzanet, è bene saperlo, significa libertà in lingua tigri (una lingua parlata dal popolo tigri presente soprattutto in Eritrea e nel nord dell’Etiopia),
- Queste tre realtà hanno unito le forze per dare vita a un progetto coraggioso: produrre una salsa di pomodoro che non sfrutti i lavoratori trasformandoli in schiavi e che non sfrutti e rovini la terra con l’uso di pesticidi e altri veleni.
- Il progetto è nato per produrre una salsa dal nome programmatico: “Sfrutta Zero”.
- I soci del progetto coltivano i pomodori con tecniche biologiche, poi trasformano i pomodori in salsa e infine certificano che durante la filiera non vi è stato alcuno sfruttamento.
- I lavoratori della cooperativa sono contadini, giovani italiani senza lavoro, precari, migranti.
- L’età media di chi partecipa al progetto è 30 anni, ma ci sono anche persone più anziane come Claudio, contadino da sempre, che è la guida del gruppo.
- Chi ha lavorato al progetto ha ricevuto la paga sindacale: 7 euro l’ora.
- I lavoratori più in difficoltà sono stati pagati per primi; chi aveva anche altre entrate, sulla base di una filosofia solidale, si è messo in coda.
- Una parte dei guadagni della salsa sono destinati a una cassa di mutuo soccorso per soddisfare l’esigenza dell’alloggio e del cibo.
- Quando è possibile la salsa è imbottigliata in bottiglie riciclate e sterilizzate.
- Anche la distribuzione del prodotto non segue le vie tradizionale.
- Sfrutta Zero è distribuito attraverso i GAS (Gruppi di Acquisto Solidale), i mercatini, e la rete di Genuino Clandestino.
- Genuino Clandestino si definisce un movimento che vuole “difendere la piccola agricoltura contadina nelle campagne creando una relazione diretta tra chi produce e chi consuma”.
- Il primo anno Sfrutta Zero ha prodotto 2 mila 5oo bottiglie di salsa.
- Nel 2015 ne ha prodotte 15 mila.
- Sfrutta Zero intende proseguire il suo cammino.
SFRUTTA-ZERO UN ALTRO MODO DI LAVORARE I POMODORI
