Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo contributo di Isabella Berardi.
Isabella è nata a Torino il 17 04 1966. E’ appassionata di scrittura e ama molto leggere. A livello amatoriale ha scritto un libro di
poesie e un libro di favole.
Ha due figli: Simone di 28 anni e Sofia di 21 anni.
SAFFO.

Saffo nasce a Ereso (isola di Lesbo, in Grecia), tra il settimo e i sesto secolo avanti Cristo.
Visse a Mitilene, la più importante città di Lesbo.
Saffo era una poetessa famosissima.
Fondò il Tiaso, una eccellente scuola per le giovani.
In questa scuola si adorava Afrodite, la dea dell’amore.
Saffo considerava l’amore la cosa più bella.
La poetessa era sposata e aveva dei figli.
Aveva, tuttavia, rapporti con altre donne.
Purtroppo tutte le sue opere andarono perdute.
La sua fine è un mistero.
La leggenda narra che Saffo fosse innamorata
del traghettatore Faone.
Faone la rifiutò.
Saffo disperata, si buttò da una rupe.
Tra i tanti che hanno ricordato questa
straordinaria poetessa, c’è Giacomo Leopardi.
GIACOMO LEOPARDI E SAFFO.
Leopardi dedicò Saffo: “L’ULTIMO CANTO DI SAFFO”, l’addio di una donna straordinaria
che morì per amore.
Ecco il testo della poesia:
Placida notte, e verecondo raggio
della cadente luna; e tu, che spunti
fra la tacita selva in su la rupe,
nunzio del giorno; oh dilettose e care,
mentre ignote mi fûr l’Erinni e il Fato,
sembianze agli occhi miei; giá non arride
spettacol molle ai disperati affetti.
Noi l’insueto allor gaudio ravviva,
quando per l’etra liquido si volve
e per li campi trepidanti il flutto
polveroso de’ Noti, e quando il carro,
grave carro di Giove, a noi sul capo
tonando, il tenebroso aere divide.
Noi per le balze e le profonde valli
natar giova tra’ nembi, e noi la vasta
fuga de’ greggi sbigottiti, o d’alto
fiume alla dubbia sponda
il suono e la vittrice ira dell’onda.
Bello il tuo manto, o divo cielo, e bella
sei tu, rorida terra. Ahi! di codesta
infinita beltá parte nessuna
alla misera Saffo i numi e l’empia
sorte non fenno. A’ tuoi superbi regni
vile, o Natura, e grave ospite addetta,
e dispregiata amante, alle vezzose
tue forme il core e le pupille invano
supplichevole intendo. A me non ride
l’aprico margo, e dall’eterea porta
il mattutino albor; me non il canto
de’ colorati augelli, e non de’ faggi
il murmure saluta; e dove all’ombra
degl’inchinati salici dispiega
candido rivo il puro seno, al mio
lubrico piè le flessuose linfe
disdegnando sottragge,
e preme in fuga l’odorate spiagge.
Qual fallo mai, qual sí nefando eccesso
macchiommi anzi il natale, onde sí torvo
il ciel mi fosse e di fortuna il volto?
In che peccai bambina, allor che ignara
di misfatto è la vita, onde poi scemo
di giovanezza, e disfiorato, al fuso
dell’indomita Parca si volvesse
il ferrigno mio stame? Incaute voci
spande il tuo labbro: i destinati eventi
move arcano consiglio. Arcano è tutto,
fuor che il nostro dolor. Negletta prole
nascemmo al pianto, e la ragione in grembo
de’ celesti si posa. Oh cure, oh speme
de’ piú verd’anni! Alle sembianze il Padre,
alle amene sembianze, eterno regno
die’ nelle genti; e per virili imprese,
per dotta lira o canto,
virtú non luce in disadorno ammanto.
Morremo. Il velo indegno a terra sparto,
rifuggirá l’ignudo animo a Dite,
e il crudo fallo emenderá del cieco
dispensator de’ casi. E tu, cui lungo
amore indarno, e lunga fede, e vano
d’implacato desio furor mi strinse,
vivi felice, se felice in terra
visse nato mortal. Me non asperse
del soave licor del doglio avaro
Giove, poi che perîr gl’inganni e il sogno
della mia fanciullezza. Ogni piú lieto
giorno di nostra etá primo s’invola.
Sottentra il morbo, e la vecchiezza, e l’ombra
della gelida morte. Ecco di tante
sperate palme e dilettosi errori,
il Tartaro m’avanza; e il prode ingegno
han la tenaria diva,
e l’atra notte, e la silente riva.
Per approfondire: L’ultimo canto di Saffo, Wikipedia.
Leggi anche: LA CANDELORA.
Nell’immagine un affresco di Pompei che raffigura la poetessa Saffo.