La maggior parte di questi lavoratori sono persone immigrate con regolare permesso di soggiorno.
Le aziende sostengono che i fattorini sono lavoratori autonomi, poiché possono decidere quando e quanto lavorare.
L’ALGORITMO.
Il lavoro dei ciclofattorini è gestito da un algoritmo (schema o procedimento sistematico di calcolo) stabilito dalla piattaforma digitale del datore di lavoro.
Questo algoritmo è installato sui cellulari dei ciclofattorini e li comanda e li controlla.
Inoltre stabilisce una classifica (“ranking“in inglese) tra i lavoratori.
Se un lavoratore non è disponibile in certi orari, o si prende giorni di riposo o va lento scende nella classifica.
Scendere nella classifica significa rischiare di perdere anche questo lavoro sottopagato.
Proprio l’esistenza di questo algoritmo e il suo potere di decidere i tempi e i modo di lavoro e di valutare il valore del lavoro rende il lavoro del rider non autonomo.
In sostanza i ciclofattorini hanno i rischi dei lavoratori autonomi, i doveri di un dipendente e una paga da fame.
Il capo della Procura di Milano, Francesco Greco, ha detto ieri «Oggi non è necessario un approccio morale al tema (dei rider) ma un approccio giuridico: non è più il tempo di dire che sono schiavi, ma che sono cittadini che hanno bisogno di una tutela giuridica».
NUOVI LAVORI NUOVE TUTELE.
Questa sentenza, che è la prima nel mondo, apre la strada a nuove regole nei rapporti di lavoro dell’economia dei “lavoretti” (Gig economy in inglese).